di MARIA AMATA DI LORENZO
In alto a sinistra, sul foglio, un’incisione riproduce un mare in tempesta, cavalloni alti fino al cielo, attraversato quest’ultimo da nuvole basse e dense; all’orizzonte una nave, un vecchio bastimento, che il vento di procella ha già inclinato su un fianco, sta affondando, ma in mezzo alle onde ecco apparire una mano che, in un gesto di estrema resistenza, solleva da sotto le acque un libretto con le pagine aperte, ancora tutte bianche…
La frase più sotto, all’interno della sua lettera, mi dice nella calligrafia nervosa e svolazzante che gli era propria: “Guardi l’incisione stampata al sommo di questa lettera. Anche lei, come ogni naufrago (tutti lo siamo), sollevi finché è possibile, il suo libretto sopra le onde…”
Il sacerdozio della parola
Scrivere per resistere ai venti contrari del mondo, scrivere per scongiurare il presente ormai minacciato dall’afasia.
Lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino credeva ancora, nonostante tutto, nella scrittura, nel sacerdozio della parola, nel suo potere salvifico. Come pochi. “In lui”, scrisse Renato Minore su “Il Messaggero” all’indomani della sua scomparsa, avvenuta il 14 giugno 1996, “c’era una dedizione sacerdotale alla scrittura, unica fonte legittima per conoscere l’inconoscibilità del mondo”.
Non a caso aveva posto l’immagine del mare in tempesta e della mano che regge un libro fra i flutti sul frontespizio della sua carta da lettera: un monito, e al tempo stesso un invito a sperare. La traccia di una improbabile, eppure necessaria, salvezza.
Chi era Gesualdo Bufalino
Gesualdo Bufalino era nato a Comiso, in provincia di Ragusa, nel 1920. Insegnante di liceo per tutta la vita, esordisce in letteratura poco più che sessantenne, nel 1981, con il romanzo “Diceria dell’untore” (Sellerio), scoperto da Leonardo Sciascia e presto portato alla ribalta nazionale come il caso letterario degli anni Ottanta.
Raccontato in prima persona, in una lingua articolatissima, fra elegia e pathos, tutto racchiuso e lavorato dentro l’ossessione della malattia (evidente metafora della vita), narra la storia di un amore sui generis sbocciato in un sanatorio della Conca d’Oro, in Sicilia, fra personaggi appassionati e dolenti che la morte, per un verso o per l’altro, finirà per ghermire.
Il successo raggiunto in età avanzata non cambia il coltissimo professore, lettore onnivoro, finissimo traduttore dal francese, dal temperamento timido e schivo, ingenuo e disincantato al tempo stesso come ogni siciliano che si rispetti.
Legatissimo alla città natale, aveva chiuso volontariamente il proprio orizzonte “fra due zolle” per poter così viaggiare da fermo, nei territori sconfinati della sua immaginazione barocca, nella realtà degli universi cartacei, zeppi di esistenze “vicarie”, impalpabili e vive più della stessa realtà.
Un solo mutamento aveva registrato la sua esistenza dopo l’exploit letterario: nel 1981, l’anno in cui uscì “Diceria dell’untore”, vincendo il Campiello e assicurandosi i favori del pubblico e della critica, Bufalino sposò Giovanna Leggio, che era stata sua allieva al liceo. La fama improvvisa aveva finito per spezzare il cerchio antico della solitudine e forzare così il blocco apparentemente irriducibile della sua misoginia.
Al primo fortunato romanzo erano seguite altre prove narrative, come “Museo d’ombre” (ancora per Sellerio, nel 1982) e poi, dopo il passaggio a Bompiani, opere quali “L’uomo invaso”, “Le menzogne della notte”, passando per i versi di “L’amaro miele” (Einaudi, 1982) e per i saggi, notevolissimi, fra cui sono da ricordare “La luce e il lutto”, “Il tempo in posa” (dedicati alla “sua” Sicilia, di cui è stato profondo conoscitore come pochi, in grado di decifrarne l’indecifrabile “sicilitudine” nel solco di Sciascia).
L’ultima prova narrativa, poco prima della morte, è stata “Tommaso e il fotografo cieco“, lucida e intelligente allegoria (venata di pessimismo) dell’Italia dei nostri giorni.
La vita che tradisce tutti i sogni
La vita che tradisce tutti i sogni. Il tempo che la memoria non redime. Gesualdo Bufalino non faceva mistero di sentirsi un “intruso” nell’odierna civiltà dei computer, lui che non era neppure capace di cambiare il nastro della sua Olivetti 35, peraltro usata soltanto per trascrivere “in bella” quanto veniva vergando sui fogli di carta di ogni risma, una biro rossa e una nera, nella poltrona accanto alla finestra.
Scriveva e riscriveva, tutto a mano, un’infinità di volte, mai contento, mai pago del suo lavoro.
Sacerdote della scrittura, la sua perfezione era maniacale, la scelta accurata delle parole (quelle che insieme poi facevano la cifra irripetibile della sua lingua densa, allusiva, sedimentata, sapiente) era il frutto di un processo mentale sorvegliatissimo.
Metodico e appartato, le sue giornate erano scandite da rituali pressoché ferrei: al mattino, appena sveglio, accendeva la radio per ascoltare i notiziari, a volume alto perché le voci gli giungessero in ogni angolo della casa in cui si muoveva; poi a un certo punto la radio taceva, lui si immergeva nelle scartoffie: progetti di libri, articoli, lettere (tantissime, da tutt’Italia) a cui rispondere; poi c’erano le letture, sterminate; e le passeggiate lungo il Corso, il circolo con gli amici, la vecchia madre Maria, ultranovantenne, a cui pensare (era arrivato persino a strapparsi i bottoni delle camicie per poterla tenere, amorevolmente, occupata).
E le visite alla moglie Giovanna, poco fuori Vittoria, dove risiedeva da qualche anno dopo essere stata colpita da un ictus cerebrale. Tornava proprio da una visita fatta alla moglie la sera del 14 giugno 1996: un banale incidente automobilistico metteva fine alla sua esistenza, a 76 anni.
Non era mai voluto andare via dalla sua terra, da quella remota, polverosa provincia della Sicilia “babba”, in cui la vita poteva essere ancora vissuta senza affanni, a misura d’uomo, in sintonia con il creato, consapevole che al lavoro dell’anima occorrono due cose soltanto: solitudine e silenzio.
Viaggiatore senza bagaglio, ha oltrepassato quel giorno il muro fasciato d’ombra, fino in fondo al mistero, aspettando di sentire la voce, finalmente, di Colui che sempre tace.
© Maria Amata Di Lorenzo – all rights reserved
[pubblicato per la prima volta su “Il nostro tempo”, Torino, settembre 1997 – tutti i diritti sono riservati]
CHI SONO
Mi chiamo Maria Amata Di Lorenzo e da oltre dieci anni condivido il mio cuore sul web. Mi ispirano la gentilezza e il desiderio di migliorare la vita di chi è intorno a me attraverso le parole, che possono essere medicina e strumento di guarigione a un livello molto intimo, dove affonda la nostra interiorità. Con le mie parole, con cura e amore, aiuto gli altri, ogni giorno.
Come scrittrice, drammaturga e autrice cinematografica con un background di giornalista, ho dedicato la mia vita a esplorare e celebrare la creatività in tutte le sue forme. Sono, infatti, anche un’insegnante di scritture creative e una consulente esperta in spiritualità e processi trasformativi connessi alla creatività. La mia passione è aiutare le persone a scoprire e a mettere in pratica il loro potenziale creativo e la saggezza del cuore, per la loro crescita spirituale, il benessere, la guarigione e l’autorealizzazione.
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Voi care presenze
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Non è una semplice newsletter, ma molto di più: è uno spazio accogliente e sicuro in cui tu, cara anima sensibile, potrai essere te stessa, ed esprimere la tua vulnerabilità senza paura, abbracciando ogni lato della tua sensibilità in un mondo che spesso la sottovaluta.
Ogni volta che sento di avere qualcosa di prezioso da condividere, invio una lettera sincera, nata dal mio cuore, per accompagnarti nel meraviglioso e talvolta impegnativo viaggio della vita. Troverai in ogni lettera piccole gemme di felicità, consigli, novità, e riflessioni scritte con amore su temi legati alla crescita personale e spirituale, allo sviluppo della creatività, alla poesia, ai libri, all’arte e alla cura della tua salute, sia fisica che emotiva.
Voi care presenze è l’appuntamento riservato alle persone profondamente sensibili e creative che concepiscono il web come uno spazio gentile in cui fermarsi a riflettere e dove è possibile sperimentare connessioni vere e significative tra le persone.
Unisciti a noi per non perderti nulla… e lasciati sorprendere dai miei regali speciali!
Nonostante si tratti di un’esperienza personale, ti riconoscerai parte di una cerchia di lettori appassionati e sensibili come te, una meravigliosa comunità di persone che condivide i tuoi stessi interessi. Non ti sentirai più come un “corpo estraneo” in un mondo che spesso sembra non capire la bellezza della tua sensibilità. Qui, tra le anime affini, troverai un luogo a cui appartieni da tempo…
Da qualche tempo sono restio a intervenire nei blog, un po’ perché sono esaurito, un po’ per la mia nota timidezza ma, carissima Maria Amata, se dedichi un post al nostro amato don Gesualdo, come si fa a soprassedere? Eccellente il ritratto che ne hai fatto. Bufalino era rimasto un uomo semplice che trascorreva il suo tempo al circolo ricreativo, a giocare a carte con i vecchi amici. Ogni tanto andavo a trovarlo, voleva essere portato a Sortino per conoscere gli apicoltori che preparavano il famoso liquore con il miele delle api. Gli avevo promesso che lo avrei fatto, poi ebbe l’incidente e tutto svanì. Conservo ancora un paio di libri che mi ha regalato.
Salvo Zappulla
Ho riletto quest’estate “Le menzogne della notte”: l’ho (ri)trovato bellissimo, di una sublimità lessicale e tematica unica. Grazie di questo intenso ritratto
Gisella
“Scrivere per resistere ai venti contrari del mondo”. Grazie, Maria Amata, di questo messaggio. E di questo profilo, tracciato con così intensa partecipazione, eppure così essenziale, così bello! Si può dire? bello. Vorrei poterlo ripetere.
un caro saluto,
anna maria
Grazie per questo bellissimo ricordo che mi ha improvvisamente catapultato indietro nel tempo. Sono veramente commossa, a volte basta tanto poco per spalancare finestre su antichi ricordi che pensavamo sepolti per sempre, così di colpo, stamattina, mi hai fatto un grandissimo dono. Anche io ho conosciuto Gesualdo Bufalino alla fine degli anni sessanta, quando ero solo una bambina, era collega di mio padre, insegnante trasferito da Siracusa in una Comiso che non aveva ancora conosciuto l’ invasione “americana”. Un uomo schivo, riservato, come erano gli autentici scrittori di una volta, dei quali conosciamo tutto attraverso le figure immortali dei loro capolavori. La radio tenuta ad alto volume mi ha intenerito, perché mi ha ricordato un particolare che oggi sembra inverosimile: all’epoca non tutti avevano la fortuna di possedere una radio, (nemmeno la mia famiglia, l’insegnamento non “pagava” neanche allora) dunque i fortunati, che ne avevano una, usavano ai vicini di casa la cortesia di permettere loro di ascoltare “gratis”. Noi abitavamo in via della Resistenza, sotto c’era un bar dal quale Caterina Caselli cantava sempre: nessuno mi può giudicare…
Ancora grazie, di cuore, Elvira
Molto intenso, preciso e prezioso questo ricordo di Gesualdo Bufalino.
Proprio in questi giorni pensavo di rileggere “Diceria dell’untore” dopo la rilettura dei racconti de “L ‘uomo invaso” che ne annovera alcuni inarrivabili.
Condivido pienamente il tuo commento sulla sua opera e ti dico che sei stata veramente fortunata a conoscere un simile scrittore e ricevere da lui apprezzamenti (meritati).
Grazie di questa proposta
lucetta
Carissimi amici,
sono veramente commossa dai vostri commenti così partecipi, così veri.
Che cosa posso dirvi se non GRAZIE di cuore… è bello condividere idee e sentimenti, sapere che questi fanno parte di un patrimonio comune che ci affratella nello spirito.
Si ha nostalgia di persone così luminose, così limpide e serie, così autentiche, veri grandi italiani come Gesualdo Bufalino, che portava – mi sia consentito dire – un valore aggiunto: quello di essere siciliano.
Essere siciliani non è un demerito, come spesso si pensa o si vuol far credere. Essere siciliani significa avere un quid che rende per certi versi unici al mondo… e lo dico da non siciliana di nascita, ma potrei definirmi tale “in pectore”.
Grazie, pertanto, a tutti voi e e a chi vorrà postare questo testo.
Un affettuoso saluto.
Amata
Ti ringrazio del commento sull’essere siciliani, sono daccordo con te e non perchè anch’io lo sono. Personaggi illustri come Gesualdo Bufalino donano lustro ed onore alla mia bellissima terra e mi fanno sentire orgogliosa di essere siciliana. Grazie di cuore
Creatori creati, così ci affaccendiamo a questa vita. Grazie Maria Amata per quei codici d’amore che ti sono propri, con cui tratti esistenze e cieli, onorando bellezza ed orizzonti, dei quali Bufalino era sapiente traduttore.
Grazie per ricordarci sacerdoti, unire gli uomini grandi, la passione, i tremori, la fede e il suo silenzio.
Grazie ad ogni uomo che ci cuce a sè per grazia, incanto e poesia.
Grazie ai riflessi di bellezza che cadono dagli uomini alti.
Grazie Gesualdo.
Carissima Maria Amata,
io credo che ciò che hai scritto su Bufalino sia più che bello, più che appassionato, io ritengo sia vero. Un ricordo intriso di profonda verità anche per chi come me non ha conosciuto di persona Bufalino ma ne ha ammirato la grande cifra di scrittore.
Ciò che hai scritto è talmente vivo e vero da renderci pienamente partecipi della essenza della vita di quest’uomo votato al “sacerdozio” della scrittura. Un uomo schivo, lontano dai clamori della spesso ostentata “visibilità” della scrittura. Inoltre l’amore di Bufalino per la sua terra siciliana, che è anche il tuo amore e che condivido pienamente, è stato da te restituito con profonda partecipazione e ancora verità.
Ti saluto con affetto.
Delia Morea